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Quando la satira si chiamava Cagnan

Notizia del 01/06/2014

Magari oggi sarebbe improponibile. In tempi in cui la realtà supera la più perversa fantasia e in cui i potenti sembrano la parodia di se stessi, tanto da rendere inappetibile la satira (che rischia anzi di regalare simpatie agli smargiassi), il vecchio giornale satirico è diventato documento da studiare. Per Natale qualcuno regala già vecchie raccolte di «Cuore» e del «Male», mentre in tivù, prima della satira relegata «fuori orario», scorrono tanti «re giullari».

Ma se la satira ci riguarda da vicino, anzi è parte integrante della nostra storia e dello sconsolato e trevigianissimo «mi no vado a combatar», se insomma stiamo parlando dei tempi d’oro de «Il Cagnan», allora la musica è diversa. Era necessario che qualcuno raccogliesse la storia di questa rivista, che ha descritto per decenni, da un’angolazione sghemba, la vita della città. Ci ha pensato un raro esemplare di giornalista «rigoroso» in mezzo a tanti gossipari dal respiro corto: Sante Rossetto anche la satira la tratta da storico. Com’è giusto che sia, se si vuol conservarne memoria.

Il prussiano Rossetto s’è messo a indagare a catalogare i vari periodi che hanno caratterizzato la vita del Cagnan, partendo dal periodo che va 1921 al 1930, quando la città ribolliva di fascisti palesi ma più spesso mascherati, di cattolici idealisti e opportunisti, di socialisti militanti oppure leninisti («’desso te spiego cossa che te ga da voèr») eccetera. Il racconto parte dunque dal Cagnan di «papà» Pesenti, repubblicano in odor di zolfo, per correre verso quello, memorabile per penne ed arte, di Remigio Forcolin. Naturalmente la Politica, quella maiuscola, a Treviso era mal declinabile, così s’andava per «politica come ciacola», transitando per i terreni delle più o meno velleitarie associazioni. Irriguardosità, colta e festosa, in salse che oggi - non ieri, ma oggi, nella Repubblica dei Proni - fanno storcere il naso ai perbenisti. Nel mirino lecchini d’ogni sorta, «atei evangelici», «pacifisti nascosti sotto il letto», podisti, onorevoli, vescovi e tirapiedi annessi. E nel 1923, come gli capiterà periodicamente, il Cagnan cessò per la prima volta le pubblicazioni. Questo va-e-vieni dalla tipografia caratterizzerà il «prodotto egregio» di Remigio Forcolin, coltissimo, amato-temutissimo, amaro e scapigliato, seppe mettere il sorriso in prima pagina del suo settimanale, senza mai scadere nel facile humor. Nascono «opinionisti» fantastici che, sulle colonne del settimanale, vestono ruoli di rappresentazione della miseria e della saggezza popolare, come il povero travet Policarpo de Tappetti. Contrappuntate dalle vignette geniali di Sante Cancian, spuntano altre figure, come la «Rosina Tiranti»: serva in casa de siori, dialetto tutto da interpretare, scrive con la lingua stetta tra i denti parlando di piccole cose. Il dialetto del Cagnan non «abbassa» e non «alza» la rivista: ci sta «dentro» e basta. Ironia e allegria sono le parole chiave. E così, magari, si riesce a passare - non sempre - anche la censura, facendosi felicemente beffe della cultura dei parrucconi. La satira tocca tutto, fa i baffi a tutto, compreso il già intoccabile sport o il «mondo che va a roverso». Nuovi inciampi in tipografia, la fiacca direzione Favaro nel ’29, la guerra. Il Cagnan rinasce nove mesi dopo la fine del conflitto. E con il piede buono, con Forcolin, Cancian, Pini, Grassi. I trevigiani tornano ad aspettare il sabato, giorno in cui il «foglio rosa» arriva in piazza. Sono, questi, i tempi di «Caffè nero» e di «Cyrano» pseudonimi che mazzolano di gusto. Rendere giustizia, contemporaneamente, a chi non ha voce e a chi non s’allinea, senza per questo scadere nell’incendiario, non è equilibrio facile. Il Cagnan ci riesce e Rossetto ce ne racconta benissimo, senza mai indulgere nell’effetto, modi e tempi. Stop and go, il Cagnan continua ad apparire e scomparire dalla piazza. L’ennesima risurrezione - l’ultima firmata Forcolin - è del 1948. Ma pestando i piedi non ci si fanno amici. E nel 1949 inciampa su una querela che ne decreta la morte. Poi, certo, appare il Nuovo Cagnan, nel 1981. Ma di buone intenzioni son lastricate le vie. E se il miracolo sembra riuscire alla direzione di quel mostro di scrittura (mai abbastanza ricordato) di Mirco Trevisanello, che comunque abbandona il dialetto non senza qualche rimpianto (maledette le case disegnate dai geometri), ai debutti felici di Furlan e Mora, si sovrappongono molte scimmiottature e un po’ di satira «a comando» e barbosa. Il Cagnan finisce la sua corsa. Poveranno, per una breve stagione, i ragazzacci di MaloX (in chiave non locale) guidati dal «vecio» ma mai domo Sergio Saviane a rimettere in moto la stampa satirica a Treviso.....

- (Antonio Frigo)

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