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I mestieri di una volta a Otranto

Notizia del 01/06/2014

Nei tempi che corrono, viviamo circondati da persone capaci di risolverci qualsiasi problema, o quasi. Qualcuno ci fa causa? Mano al telefono: chiamiamo un avvocato che possa difenderci. L'auto non parte? Pronti: subito ci precipitiamo dal meccanico. I conti non tornano? Via dal commercialista. Voglia di rimodernare la sala da pranzo? Ecco l'architetto disposto a soddisfare ogni nostra richiesta.

Che anni ricchi di benessere, quelli in cui viviamo! Quanti agi, quante comodità. E tutto all'insegna del consumismo. A risentirne, poi, sono sempre le tradizioni e le "essenze" antiche, quelle che appartenevano ai nostri nonni, i quali sfamavano le loro famiglie facendo i più disparati e umili lavori, mestieri che oggi sono quasi del tutto spariti, persi nel vortice della modernità.

Tra le antiche occupazioni salentine si possono ricordare "l'ombrellaru" (l'ombrellaio), "lu cantastorie" (il cantastorie), "lu cutimaru" (il vasaio), "lu cazzafricciu" (lo spacca-pietre), "lu mpagghiasegge" (l'aggiusta-sedie), "lu ferracavalli" (il maniscalco), "lu uttaru" (il costruttore di botti), e tante altre che, col passare del tempo, sono entrate nella cultura di questa terra.

Ombrellaru

Girava per le vie del paese gridando: "Ombrellaru! Ombrellaru!". Lo si poteva incontrare prima e durante il periodo delle piogge. Era vestito quasi sempre molto male, ma tale "mise" gli permetteva di lavorare più comodamente e di proteggersi in caso di brutto tempo. Necessitava di attrezzi precisi come il filo di ferro, le pinze, gli aghi, i ritagli di stoffa, le stecchette, lo spago. Tutto ciò era conservato in una cassetta di legno, sulla quale egli si sedeva durante il lavoro. Le cattive condizioni economiche del passato facevano sì che si potesse acquistare un solo ombrello per famiglia e quando questo si rompeva, si preferiva farlo riparare anziché comprarne uno nuovo, in tal modo si risparmiava.

Cantastorie

Questa figura, erede di una tradizione risalente agli araldi greci e ai giullari medievali, era conosciuta negli anni antecedenti la prima guerra mondiale. La sua attività, anche se a prima vista poteva apparire di puro intrattenimento, era al contrario molto utile perché permetteva alla gente di conoscere reali fatti di cronaca, curiosità e, qualche volta, indiscrezioni. Il cantastorie era un nomade che girava per le piazze, per i mercati delle città più disparate, offrendo al suo pubblico qualche momento di svago. Dopo essere salito su uno sgabello, cominciava il suo racconto servendosi di un altoparlante e di un cartellone sul quale erano rappresentate le scene salienti della sua narrazione. Con un sottofondo musicale, dopo aver terminato la rappresentazione e dopo aver capovolto il cappello, chiedeva l'offerta e poi ripartiva alla volta di altri paesi.

Cutimaru

Tale mestiere, risalente ad oltre venti secoli prima di Cristo, rappresentava coloro che lavoravano la creta utilizzando tecniche molto antiche. Questi prodotti, fatti di argilla, incarnavano un aspetto importantissimo dell'artigianato salentino. Tale tradizione si radicò in questo territorio nel VIII secolo a.C., grazie ad alcune tribù che dalla Grecia giunsero sulle coste del Salento. "Lu cutimaru" svolgeva la sua professione servendosi esclusivamente delle mani. Per modellare gli oggetti spesso usava il tornio, strumento formato da due ruote sovrapposte, messe in movimento con la spinta del piede, e per cuocerli utilizzava un forno, di frequente costituito da due locali posti uno sull'altro.

Cazzafricciu

Si trattava di un lavoro molto umile e faticoso, svolto da uomini che lavoravano quasi sempre per conto di altri. Con un fazzoletto bagnato sul capo, visto il caldo, "li cazzafricci" sedevano su cataste di pietre e, servendosi di un pesante e grosso martello, spaccavano ogni singolo masso, riducendolo a breccia minuta che sarebbe poi servita per sistemare strade e viottoli.

Mpagghiasegge

Nelle case antiche, intorno ai massicci tavoli, trovavano posto le sedie di legno con la seduta fatta di giunchi di paglia. Capitava, talvolta, che, a causa del continuo utilizzo, tali filamenti naturali cedevano. Ci si rivolgeva così "allu magghiasegge" il quale, con una bisaccia a tracolla, colma di giunchi di diverso colore e di attrezzi, girava a piedi nel paese sperando che qualcuno chiedesse i suoi servigi. Il suo era un lavoro che esigeva silenzio e molta pazienza.

Ferracavalli

Nel tempo in cui le automobili erano ancora un miraggio, la gente si serviva dei cavalli per spostarsi da un luogo all'altro. E, come le autovetture, anche tali animali avevano bisogno di un po' di "manutenzione". I maniscalchi iniziavano a lavorare molto presto la mattina. Si posizionavano dietro il deretano del cavallo, sempre attenti a scostarsi quando esso scalciava. Erano molto richiesti e, oltre ad applicar loro gli zoccoli, dovevano conoscere a fondo il comportamento e l'anatomia di queste bestie.

Uttaru

Molti anni fa, il vino era conservato nelle "capase" e nelle botti. Queste ultime erano costruite dagli "uttari", tra i quali primeggiavano per bravura i gallipolini. Il castagno e il rovere erano i legni che meglio conservavano sia l'aroma che il colore del nettare. Le doghe, lavorate con l'ascia e poi incurvate e sagomate, erano costruite con il legno dei tronchi ben stagionati. I coperchi, posti alle due estremità, erano fatti anch'essi di fasce di legno. Per riunire il tutto, si utilizzavano dei cerchi di ferro, i quali venivano posti intorno alle botti. Questi prodotti permettevano l'esportazione del vino salentino in altre parti d'Italia.

Nel Salento il profumo del passato si respira ancora nell'aria, basta recarsi nel posto giusto e al momento giusto. Tra le viuzze del centro storico di qualche borgo, ad esempio, alle prime luci dell'alba, quando la frescura mattutina fa un po' rabbrividire e quando un timido raggio di sole dal cielo scende sulla terra, adagiandosi sui ciottoli della strada. Proprio lì, in una polverosa e buia bottega, si può ancora scorgere "nu mpagghiasegge" che, coi suoi settant'anni palesati tra le rughe del viso, intreccia i giunchi, oggi come ieri, convincendosi che il tempo non sia mai passato.

Ricordo che qualche anno fa, ogni cinque-sei mesi, o giù di lì, mi capitava di sentire una voce stridula proveniente dalla strada che diceva: "Cconza-mbrelli!" (aggiusta-ombrelli). Era un omino canuto che, curvo sulla sua bicicletta, percorreva le strade di Otranto con il cestino colmo di ombrelli vecchi che utilizzava come pezzi di ricambio. E' molto tempo che non lo sento più strillare. Forse è troppo vecchio per pedalare, forse della sua voce non è rimasto che un sibilo sottile, o forse non c'è più. Non lo so. Ciò che so è che con lui è scomparso un altro pezzo della nostra storia. Sono frammenti di vita che svaniscono e che, purtroppo, non potranno più essere recuperati se non attraverso i ricordi.

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