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Le rane e i ranocchiai

Notizia del 25/04/2014

 

 

Nel centro storico di Sezze l’attuale largo Bruno Buozzi era da tutti conosciuto con il nome La piazza gli granunchi, perché in tale piazzetta stazionavano le donne che per mestiere vendevano le rane. Circa 10 famiglie traevano da vivere proprio dalla vendita al pubblico delle rane. Le granunchiare di buon mattino mostravano ai clienti, in un apposito recipiente di terracotta svasato e all’interno smaltato (i sinnilóno), i ranocchi spellati e conservati nell’acqua. Se l’acqua era rossiccia significava che i ranocchi in vendita erano freschi, cioè pescati appena qualche ora prima, se invece era rosso-scura significava che i ranocchi non erano di giornata. Ogni donna riusciva a vendere non più di 8 chilogrammi al giorno. A volte la granunchi ara con il sinnilóno in testa e la statera in braccio girava nei vicoli del paese per terminare la vendita (spacciare). L’acquisto da parte delle singole famiglie era di una libbra, al massimo due libbre di ranocchi (una libbra corrisponde a tre etti e trenta grammi circa), che dopo la pesa venivano messi o nella spessa carta della pasta o sopra grossi pampini di uva. I ranocchi venivano cucinati in brodo soprattutto per le persone anziane, per i malati e per i bambini. Una vera leccornia erano i ranocchi impastati e cotti al forno con il pomodoro fresco, oppure cotti al forno ma conditi con l’aceto. Altra specialità era la zuppetta di pane con brodo di ranocchi e alcune verdure di stagione. Per secoli i ranocchi sono stati la carne della popolazione lepina e pontina: essi erano apprezzati in cucina sia dai ricchi che dai poveri. Del resto la presenza

di centinaia di canali (le fosselle) nella Pianura Pontina rendeva relativamente facile la pesca dei ranocchi.

I granunchiari (ranocchiai) di professione al sorgere del sole già si trovavano all’opera lungo i canali con la loro possente vara, ovvero una lunga asta alla cui estremità era posto un elemento circolare su cui era attaccata una rete profonda circa 150 cm. (simile ad un retino di grandi dimensioni). Il granunchiaro, costeggiando il ciglio del canale, batteva forte i piedi per terra, mentre la vara era immersa nell’acqua. I ranocchi, impauriti dal rumore dei piedi, dai loro ripari saltavano verso il centro del canale, finendo così all’interno della vara. Il pescatore alzava in alto la vara catturando così gli incauti anfibi. Successivamente questi ad uno ad uno erano messi in un’apposita nassa di vimini. Pescato il giusto quantitativo di ranocchi, il ranocchiaio tornava a piedi a casa, dove la moglie, le figlie e lui stesso procedevano, prima a decapitare e successivamente a spellare i ranocchi. Una volta pronti la granunchiara portava solerte la sua merce al mercato per la vendita. Se la pesca era stata particolarmente abbondante, i ranocchi in eccedenza venivano conservati vivi per il giorno successivo. Quello del ranocchiaio era un vero e proprio mestiere, con i proventi del quale vivevano famiglie per giunta numerose. E’ rimasta celebre una donna, che, per sfortunate vicende familiari, fu costretta a svolgere il mestiere di granunchiara, recandosi – al pari degli uomini – tutti i giorni a pesca con la sua robusta vara.

Si riporta una bellissima poesia di Antonio Campoli, apprezzato poeta setino, proprio sulla figura della donna venditrice di rane:

 

«Sdraiata a nu scanniglio1 basso basso

faccia fronte a nu bbeglio sinnilono2,

uinneva gli granunchi da Quatrasso3

cu na camicia senza nu buttono.

 

Quando teneva mmagni la statera4

i petto lazzo lazzo5 si spirchiava6:

la granunchiara era bella, era:

cu nu minuto subbito spacciava7.

 

Lu seppe gli marito e ‘na iurnata

si prisintave cu la siticciola

tocca a Quatrasso8 tutt’abbuttunata.

 

Tre ore stette cu gli sinilono,

cu gli curpetto e senza camiciola:

‘n ci s’accustave manco nu sfuzzono9».

 

(1) Piccola sedia di legno, più bassa delle altre.

(2) Grosso recipiente di terracotta, smaltato all’interno.

(3) E’ il più grande palazzo esistente nel centro storico di Sezze.

(4) Stadera, piccola bilancia a bracci disuguali.

(5) Bianco, bianchissimo.

(6) Risplendeva per luminosità.

(7) Terminava di vendere la merce, tutte le rane.

(8) Proprio attaccata a palazzo Quatrasso.

(9) Cittadino di Sezze che non lavorava nei campi (artiNell’Antiquarium Comunale di Sezze è conservata una bellissima lucerna dell’età romana sul cui beccuccio è realizzata a bassorilievo la figura di una rana accovacciata, importante testimonianza della peculiarità gastronomica pontina fin dall’antichità. E’ importare altresì ricordare che nei primi decenni del cristianesimo il «ranocchio» era uno dei tanti simboli dei cristiani, in quanto la sua alta prolificità simboleggiava la facilità di moltiplicarsi dei cristiani stessi.

 

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