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Notizia del 24/11/2012
Con i Maestri di cerimonia l’arte arriva trionfalmente in tavola: la disposizione delle stoviglie, la preparazione dei cibi, la presentazione delle portate sono attentamente studiate per suscitare stupore e meraviglia, così i convivi diventano veri e propri eventi esclusivi, riservati alle classi nobili.
Nel Rinascimento, i banchetti di corte erano organizzati continuamente dai vari blasoni, avevano l’obiettivo di stupire, potevano coinvolgere centinaia di persone, durare più giorni ed erano caratterizzati da una straordinaria abbondanza di vivande, motivo per cui erano preceduti e seguiti da periodi di vero e proprio digiuno. I cibi erano consumati in più riprese tra balli, rappresentazioni teatrali, tornei, giochi vari e tra un intrattenimento e l’altro si stabilivano accordi, combinavano matrimoni, definivano strategie, formavano alleanze semmai ai danni di chi non era invitato. Servivano anche per dimostrare agli ospiti la propria potenza e capacità economica e mettevano in gioco il prestigio stesso dei padroni di casa: di fatto non mancarono casati, anche di alto lignaggio, che finirono in rovina nel tentativo di tenere testa a quel ritmo vorticoso e parecchio costoso.
Un rischio che non toccava gli Estensi, che potevano contare su robuste ricchezze e su un territorio molto ampio dal quale attingere numerose materie prime di qualità. La loro, in più, fu una delle prime corti a istituire la figura del Maestro di cerimonia, ciò di colui che aveva il delicato compito di sovrintendere e garantire la realizzazione ottimale dei festini. Una responsabilità che era ripagata con fama, ricchezza e potere ma che imponeva grandi abilità e perizia. Per esempio in un banchetto non dovevano mai mancare ingredienti particolari, cibi ricercati e coreografie nuove, come non dovevano sfuggire dettagli fondamentali nella sistemazione a tavola, secondo l’importanza o la convenienza, degli invitati, disposizione cui corrispondevano anche trattamenti e servizi differenziati.
Messer Messisbugo, nacque a Ferrara sul finire del ‘400, e, a coronamento di una brillante quanto rapida carriera, fu nominato Maestro di corte, ruolo che interpretò nel miglior modo possibile, tanto che decise, in quei tempi dove molto era affidato all’estro individuale e ognuno celava gelosamente i propri segreti, di catalogare e divulgare le sue diverse mansioni in un testo che intitolò Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale.
L’opera è, di fatto, un manuale, una vera miniera di notizie utili e di suggerimenti pratici da applicare tra la dispensa, la cucina e la sala da pranzo. Per esempio, evidenzia quali tagli applicare alle diverse carni, elemento affatto trascurabile dato che una capacità tra le più apprezzate a quei tempi era di saper sconvolgere l’animale, cioè di riuscire in pratica a presentarlo dopo la cottura in modo che fosse irriconoscibile o si potesse addirittura confondere con un altro.
Nella sezione dedicata alle ricette, invece, fanno la loro comparsa gli abbondanti menù dei pranzi di corte che comprendevano alcuni piatti considerati d’alta cucina realizzati con carni bianche, pesci e frutti di mare; preparazioni più o meno elaborate ma decisamente ricche di condimenti; pasticci; salse; erbe aromatiche e spezie; cibi esotici giunti da Paesi lontani oltre a qualche abbinamento ben riuscito e alcune rielaborazioni con ingredienti locali di ricette di derivazione francese e tedesca.
Ecco alcune preparazioni del ricettario che, seguendo quanto previsto, dovevano essere portare in tavola contemporaneamente: involtini di polpa di cappone fritti e ricoperti di zucchero; orate alla griglia con prezzemolo e cipolline, speziate e soffritte nel burro; pasticcini di pasta reale imbottiti di uova, formaggio e zucchero; fagiani arrostiti con arance spaccate; quarti di vitello arrosto con salsa di amarene.
S’intuisce, in generale, l’esagerata abbondanza di carni bianche e rosse, e, nel dettaglio, che alcuni ingredienti, almeno in certi periodi dell’anno, erano trascurati mentre altri serviti in gran quantità, a causa di prevedibili influenze religiose o mediche, che vietavan o suggerivano il consumo di alcuni cibi; infine si evidenzia la preferenza per l’utilizzo della marinata e dell’agrodolce.
La prima serviva, in un tempo in cui il ghiaccio era una rarità, soprattutto a conservare, utilizzando abbondanti quantità di vini rossi bruschi, decine di cinghiali, cervi e animali da cortile, già preparati e in attesa di essere cucinati nei giorni che precedevano il banchetto, ed era fondamentale riuscire a mascherare gli inevitabili gusti e odori forti.
L’agrodolce, cioè l’aggiunta di zucchero o miele, e di qualche spezia, a una base di aceto o di succo d’uva acerbo, serviva invece a dolcificare e addensare il condimento di base, rendendolo adatto ad accompagnare alcuni cibi.
Coppie ferraresi Coppie ferraresi
Cos’è rimasto ai giorni nostri
Moltissime preparazione di quell'epoca sono uscite dalle nostre consuetudini alimentari: impossibile sarebbe, infatti, sostenere un’alimentazione così esasperata, ricca e abbondante. Le modalità di cottura sono cambiate e, inoltre, alcune ricette, al gusto diffuso dei nostri giorni, risulterebbero praticamente immangiabili.
Alcune di loro però hanno passato l’esame dei secoli, sono giunte fino a noi e rappresentano un’interessante testimonianza, non solo gastronomica, della cultura d’insieme dell’epoca rinascimentale. Eccole:
Coppie ferraresi, inconfondibile forma di pane a due paia di corna unite, realizzata con un impasto caratteristico, da consumarsi fresca o, dopo alcuni giorni, come pan biscotto.
Tortello di zucca, vera specialità contesa a Mantova, realizzata farcendo la pasta all’uovo con una purea di zucca cotta al forno, aromatizzata con noce moscata e rinforzata con parmigiano reggiano; una variante più raffinata prevede l’aggiunta di un pizzico di zucchero, di sesamo e di bucce candite di arancia.
Pasticcio alla ferrarese, si presenta come un involucro a forma piramidale di pasta frolla o, a seconda del gusto, di pasta sfoglia leggermente dolce, farcito di maccheroncini o cappelletti, conditi con ragù di carne mista cotto in bianco, besciamella e parmigiano; da gratinare al forno.
Salamina o salama da sugo, un’altra vera attrazione gastronomica locale, un insaccato di carni di suino aromatizzate con vino rosso, dalla forma sferica del peso di circa un chilo, da cuocere al vapore per almeno quattro ore, da servire caldo e consumare a cucchiaio con abbondante purea di patate.
Anguilla marinata, tocchetti di anguilla impanati con farina e pane grattugiato, fritti in abbondante olio e messi a marinare; una marinata tipica è composta da vino o a scelta birra, aceto o succo di limone, olio extravergine d’oliva e spezie o erbe; in alcuni casi possono essere aggiunte anche salsedi vario genere (salsa di soia, salsa yogurt, salsa Worcester ma per rendere più fine la preparazione aggiungete chicchi di uvetta.
Mauro Pedron
'nonsolobacco'
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